Le conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di giustizia presentate il 6 aprile 2016 nell’ambito della causa C-24/15 (Joseph Plöckl) confermano che il regime di non imponibilità IVA previsto per le cessioni intracomunitarie si applica anche se il cessionario non è identificato ai fini IVA e/o non ha comunicato il proprio numero identificativo al cedente; questo principio è applicabile anche ai trasferimenti di beni a destinazione di altro Stato membro effettuati per le esigenze della propria impresa, che la normativa equipara alle cessioni intracomunitarie “in senso stretto” e che, quindi, vanno assoggettati ad imposta nello Stato membro di arrivo dei beni previa apertura del numero di partita IVA da parte dello stesso soggetto trasferente.
Nel caso di specie, un imprenditore tedesco ha spedito la propria autovettura aziendale ad un concessionario spagnolo, con vendita avvenuta l’anno successivo nei confronti di un’impresa spagnola.
È pacifico che l’operazione complessivamente posta in essere dall’imprenditore tedesco non dà luogo ad una cessione intracomunitaria “ordinaria”, in quanto tale qualificazione esige che l’identità del cessionario sia già nota al momento del trasporto/spedizione del veicolo in Spagna, il che non è avvenuto nella fattispecie in esame, così come accertato dal giudice nazionale.
Conseguentemente, l’imprenditore tedesco avrebbe dovuto considerare l’operazione complessivamente effettuata come un trasferimento intracomunitario a “se stesso”, non imponibile in Germania siccome tassato in Spagna previa apertura di un numero di partita IVA, seguito – nell’anno della vendita del veicolo – da una cessione interna alla Spagna, ivi imponibile.
È importante sottolineare che, in merito alla ripartizione dell’onere della prova, spetta alle Autorità fiscali dello Stato membro di origine, cioè quelle della Germania, dimostrare l’esistenza delle condizioni sostanziali alla base dell’assimilazione del trasferimento a “sé stesso” ad una cessione intracomunitaria “ordinaria”, vale a dire che: (i) il trasferimento è effettuato da un soggetto passivo o per suo conto; (ii) il trasferimento ha per oggetto un bene materiale dell’impresa del soggetto passivo; (iii) il bene è spedito/trasportato in altro Stato membro; (iv) il bene è trasferito per le esigenze dell’impresa; (v) il bene non rientra nelle ipotesi sospensive tassativamente previste.
Infatti, laddove le Autorità fiscali dello Stato membro di origine dispongano delle informazioni necessarie per accertare la sussistenza dei suddetti requisiti sostanziali, non è possibile negare il beneficio della non imponibilità soltanto perché il soggetto trasferente non ha comunicato il numero identificativo attribuito dallo Stato membro di destinazione.
A questo riguardo, soccorrono le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale il predetto obbligo comunicativo costituisce un requisito formale, non idoneo – se violato – a precludere l’applicazione del principio di tassazione previsto per gli scambi intracomunitari di beni, volto a garantire la riscossione dell’imposta nel luogo di consumo effettivo e finale della merce (sent. 27 settembre 2012, causa C-587/10, VSTR).
La violazione in esame assume carattere sostanziale – e, quindi, comporta l’applicazione dell’IVA nello Stato membro di origine – al ricorrere di una duplice ipotesi, che l’Avvocato generale ha ritenuto non integrata nel caso di specie, ossia quando: (i) il soggetto passivo ha partecipato intenzionalmente ad una frode in materia di IVA e/o (ii) quando l’obbligo comunicativo, se non rispettato, impedisce di dimostrare che i requisiti sostanziali sono soddisfatti.
Quest’ultima deroga subisce, però, un’eccezione, non operando quando l’Amministrazione finanziaria dispone comunque delle informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali sono soddisfatti, sicché essa non può imporre condizioni supplementari, non previste dalla normativa comunitaria, che hanno l’effetto di escludere il diritto che il soggetto passivo intende far valere (nella specie, la non imponibilità).
In definitiva, rispetto allo Stato membro di origine, l’imprenditore tedesco, anche se ha considerato l’operazione complessivamente posta in essere come una cessione intracomunitaria “ordinaria”, anziché con un trasferimento intracomunitario a “se stesso”, non perde il diritto alla non imponibilità per il solo fatto di non avere comunicato, in quanto non richiesto e, quindi, ottenuto, il numero di identificazione acceso in Spagna.
Resta inteso che lo Stato membro di origine può applicare una sanzione amministrativa per la violazione dell’obbligo comunicativo in esame, che deve essere conforme al principio di proporzionalità e che, dunque, deve riflettere l’importanza di tale obbligo ai fini del controllo dei trasferimenti intracomunitari.
di Marco Peirolo – 11 aprile 2016
Fonte: Euroconference