Nella prassi commerciale può accadere che il fornitore nazionale emetta fattura al cliente non residente nell’Unione europea con resa EXW (Ex Works), con esportazione, a cura o a nome del soggetto estero, previo montaggio o assiemaggio.
Di regola, con tale clausola Incoterm, l’operatore nazionale può emettere la fattura di vendita con la dicitura “operazione non imponibile” e con l’eventuale indicazione della norma di riferimento, comunitaria o nazionale. Si tratta, rispettivamente, dell’articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva n. 2006/112/CE e dell’articolo 8, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 633/1972, laddove la norma comunitaria esenta da IVA “le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente non stabilito nel loro rispettivo territorio, o per conto del medesimo, fuori della Comunità (…)” ed è stata recepita dalla corrispondente disposizione interna che prevede la non imponibilità per “le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica europea entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto (…)”.
Con la sentenza BDV Hungary Trading (causa C-563/12 del 19 dicembre 2013), la Corte di Giustizia ha valutato la legittimità del termine di 90 giorni previsto dalla legislazione ungherese – molto simile a quella italiana – ai fini della detassazione delle cessioni all’esportazione di cui al citato articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva n. 2006/112/CE, e, più in generale, la possibilità per i singoli Stati membri di vincolare l’esenzione dell’operazione al rispetto di un determinato termine per il trasferimento fisico dei beni all’estero. Al riguardo, i giudici della Corte hanno precisato che, in via di principio, è consentito agli Stati membri stabilire un termine ragionevole per le esportazioni, che tenga conto delle pratiche commerciali nell’ambito delle esportazioni negli Stati terzi, al fine di verificare se un bene oggetto di cessione all’esportazione sia effettivamente uscito dall’Unione ed, inoltre, imporre al venditore di un bene destinato all’esportazione un termine preciso entro il quale tale bene deve lasciare il territorio doganale dell’Unione costituisce un mezzo appropriato a tal fine.
Pur ammettendo la presenza di un termine al fine di verificare se il bene oggetto della cessione all’esportazione sia effettivamente uscito dal territorio dell’Unione, la Corte ha ritenuto che “una normativa nazionale (…) che assoggetta l’esenzione all’esportazione a un termine di uscita, con l’obiettivo, in particolare, di lottare contro l’elusione e l’evasione fiscale, senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento di detto obiettivo”.
In conseguenza dell’arresto della Corte di giustizia, la risoluzione AdE 98/E/2014 ha escluso che la cessione diventi imponibile, in via definitiva, in conseguenza del mero superamento del termine di 90 giorni, ossia anche quando l’operatore nazionale sia in grado di dimostrare il materiale trasferimento dei beni in territorio extracomunitario. Secondo l’Agenzia, “preso atto dell’indirizzo della Corte europea, si ritiene che il regime di non imponibilità, proprio delle esportazioni, si applichi sia quando il bene sia stato esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione, sia quando il bene esca dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni previsto dal citato articolo 8, primo comma, lettera b), del DPR n. 633 del 1972, purché, ovviamente, sia acquisita la prova dell’avvenuta esportazione. Si ritiene, altresì, possibile recuperare l’IVA nel frattempo versata ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del citato decreto n. 471 del 1997”.
Ciò detto, in via preliminare, in merito alla differente formulazione della norma interna rispetto a quella unionale per quanto riguarda in modo particolare il termine di 90 giorni previsto dalla disposizione nazionale, occorre chiarire se i beni oggetto di esportazione beneficino della non imponibilità IVA di cui alla richiamata lettera b) del primo comma dell’articolo 8 del D.P.R. 633/1972 nel caso in cui, come specificato in precedenza, siano oggetto di montaggio o assiemaggio da parte del cessionario non residente.
In senso negativo si è espressa l’Amministrazione finanziaria, che nella C.M. 35/1997 (§ 4) ha evidenziato come la previsione di non imponibilità “riguarda l’ipotesi in cui l’acquirente estero provvede a ritirare, direttamente o tramite terzi, i beni presso il cedente, curando la successiva esportazione degli stessi, allo stato originario, entro novanta giorni dalla data di consegna”.
Esclusa allora, nella specie, la possibilità di applicare il titolo di non imponibilità della lett. b) se i beni ceduti sono esportati dopo essere stati lavorati, trasformati o anche solo montati o assiemati, occorre verificare se l’operazione sia comunque non imponibile in base alla precedente lett. a), che in effetti stabilisce espressamente che “i beni possono essere sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni”.
Tale ulteriore previsione di non imponibilità si riferisce, sempre in base alla lett. a), alle “cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica europea, a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi”. Per il riconoscimento dell’agevolazione è, quindi, necessario che l’invio dei beni lavorati, trasformati, montati o assiemati al di fuori dell’Unione sia organizzato dal cedente italiano e non anche, come nel caso considerato, dal cessionario estero.
Sul punto, l’Amministrazione finanziaria, in merito alla locuzione “a cura del cessionario non residente o per suo conto”, prevista dalla lett. b) dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, ha precisato che al trasferimento dei beni in territorio extracomunitario deve provvedere direttamente il cliente non residente, ovvero un terzo (es. vettore o spedizioniere), purché per conto del cliente stesso. In quest’ultima ipotesi, il soggetto “terzo”, incaricato del trasporto/spedizione, non può coincidere con l’operatore nazionale; diversamente, si realizzerebbe un’esportazione diretta, non imponibile ai sensi della lett. a) dello stesso art. 8 (R.M. 28 luglio 1979, n. 411174). Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza, la quale – dopo avere escluso il beneficio della non imponibilità di cui alla lett. b) se i beni oggetto di esportazione sono stati sottoposti, per conto del cessionario non residente, ad una lavorazione in territorio italiano – ha stabilito che la cessione resta comunque detassata, seppure ai sensi della lett. a), anche se il trasporto è avvenuto con clausola EXW a cura del cedente per conto del cessionario (C.T. Reg. di Milano, 7 giugno 2005, n. 98).
Fonte: Euroconference
di Marco Peirolo – 18 febbraio 2017