Le disposizioni introdotte in materia di Cfc dal decreto internazionalizzazione prima e dalla Legge di Stabilità 2016 poi, hanno notevolmente inciso sugli aspetti sostanziali e procedurali della relativa disciplina.
Già su Unico 2016 impattano le novità del decreto internazionalizzazione che in sostanza con effetto dal periodo di imposta in corso alla data del 7.10.2015 ha (cfr. art. 8, d. lgs. 147/2015):
Ciò premesso, occorre evidenziare come se per il 2015 si deve fare riferimento ancora al D.M. 21.11.2001, che nel corso del medesimo anno è stato aggiornato con l’eliminazione di taluni Paesi come Filippine, Malesia e Singapore (che hanno un livello di tassazione superiore alla metà di quello italiano), a partire da quest’anno, con effetti su Unico 2017, si cambia completamente approccio, con maggiori oneri per i contribuenti che devono individuare, caso per caso, le fattispecie che possono far scattare l’applicazione della disciplina in questione.
A partire dal periodo di imposta 2016, infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità (art. 1, c. 142, lett. b), L. 208/2015) la disciplina delle “controlled foreign companies” trova applicazione con riferimento alle società estere il cui livello di tassazione nominale sia inferiore a più del 50% di quello italiano. Scompare in sostanza il riferimento ad una “black list” ben definita.
Va evidenziato, peraltro, che il legislatore ha optato per la tassazione nominale (e non dunque per quella effettiva da utilizzarsi invece quale parametro in caso di Cfc “non black list”), il che semplifica parecchio il meccanismo di applicazione della disciplina. Per verificare il livello di tassazione estero inferiore al 50% di quello italiano, inoltre, dovrebbe rilevare la sola Ires (restando esclusa invece l’Irap, volendo applicare i medesimi criteri dettati dalla C.M. 51/E/2010 per il regime delle Cfc “non black list”).
La nuova formulazione dell’art. 167, co. 1, Tuir peraltro, esclude espressamente dall’applicazione della disciplina Cfc “black list” le società ubicate in Stati appartenenti alla UE o allo SEE con cui è in vigore un accordo per lo scambio di informazioni.
Con riferimento alle società localizzate in questi Paesi, tuttavia, resta applicabile la disciplina delle c.d. “Cfc non black list” (art. 167, c. 8-ter, Tuir) che scatta quando la società estera controllata ha proventi formati in prevalenza (più del 50%) da c.d. “passive income” (ossia da compensi derivanti dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonchè dalla prestazione di servizi infragruppo) e ha un livello di tassazione effettiva (non dunque nominale) inferiore più della metà di quella virtuale italiana. Sotto questo aspetto, peraltro, si attende ancora il Provvedimento attuativo che, secondo quanto previsto dal decreto internazionalizzazione, dovrebbe semplificare il procedimento di determinazione del c.d. “tax rate test”, tenendo fermo come principio di carattere generale l’irrilevanza delle variazioni di reddito (in aumento o in diminuzione) non permanenti.
di Nicola Fasano – 09 febbraio 2016
Fonte: Euroconference