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Evasione fiscale: il piano d’azione per una tassazione societaria equa

La direttiva approvata dall’UE fa parte di un piano di azione internazionale, di origine politica, condiviso dai più importanti Paesi a livello mondiale, per rafforzare le norme contro l’evasione fiscale. Da tempo l’UE promuove a livello mondiale norme di buona governance in materia fiscale e sostiene con convinzione il progetto BEPS dell’OCSE/G20, per affrontare a livello internazionale il problema dell’elusione dell’imposta delle società. Il piano di azione prevede una serie di interventi per riallineare i principi della tassazione internazionale all’attuale contesto globale e ai nuovi modelli organizzativi delle imprese multinazionali.

La direttiva dell’UE fa parte di ambizioso progetto di contrasto all’evasione fiscale internazionale, iniziato nel gennaio 2016, a seguito delle proposte della Commissione Europea per rafforzare le norme contro l’evasione fiscale delle multinazionali.

Si tratta di un piano d’azione, condiviso dai più importanti Paesi a livello mondiale, reso necessario dalla consapevolezza che l’erosione della base fiscale e lo spostamento dei profitti trovano la loro linfa vitale nelle asimmetrie impositive dei vari sistemi tributari.

La direttiva è finalizzata al contrasto dell’evasione fiscale internazionale, attuata nella maggioranza dei casi da grandi multinazionali che, sfruttando lacune ed asimmetrie normative, riescono ad eludere quasi totalmente i vari sistemi fiscali spostando profitti in Paesi a bassa fiscalità o in veri e propri paradisi fiscali.

In relazione alla natura politica del progetto, lo stesso ha mosso i propri passi anche in relazione alla necessità di sostenere un modello sociale equo, soprattutto con riguardo ai Paesi in via di sviluppo e alle economie in via di transizione, danneggiati da consistenti perdite di gettito fiscale, a causa delle sofisticate operazioni di ingegneria tributaria attuate da società che trovano difficile contrasto nelle limitate risorse delle Amministrazioni fiscali locali.

Tutto ciò genera evidenti limiti per una crescita economica sostenibile, cui i gruppi aziendali approfittano della disparità tra i sistemi fiscali nazionali al fine di ridurre il loro debito d’imposta.

La direttiva che ha avuto il via libera del Consiglio UE si basa sul piano d’azione per una tassazione societaria equa ed efficiente, presentato dalla Commissione il 17 giugno 2015. Essa stabilisce norme giuridicamente vincolanti per consentire agli Stati membri di affrontare efficacemente l’elusione dell’imposta sulle società in modo da preservare la competitività collettiva e rispettare il mercato unico, le libertà sancite dal trattato, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e il diritto dell’Unione in generale. A tale riguardo essa si fonda su due principali settori di attività a livello internazionale e dell’UE.

La direttiva è ampiamente inclusiva e mira a comprendere tutti i contribuenti che sono assoggettati all’imposta societaria in uno Stato membro. Il suo campo di applicazione comprende anche le stabili organizzazioni, situate nell’Unione, di società che non sono esse stesse soggette alla direttiva.

Deducibilità interessi

I gruppi multinazionali spesso finanziano le loro entità in giurisdizioni ad alta fiscalità attraverso il debito e dispongono che tali società restituiscano interessi “gonfiati” a società controllate residenti in giurisdizioni a bassa fiscalità.
In questo modo la base imponibile del gruppo (o più precisamente, delle entità che versano gli interessi “gonfiati”) diminuisce nelle giurisdizioni ad alta fiscalità e aumenta invece nello Stato a bassa fiscalità che riceve il pagamento degli interessi.
Il risultato globale è una riduzione della base imponibile del gruppo multinazionale nel suo complesso.
Scopo della norma proposta è scoraggiare tale pratica limitando l’importo degli interessi che il contribuente è autorizzato a dedurre in un esercizio fiscale.

Imposizione in uscita

I contribuenti possono cercare di ridurre il loro onere fiscale trasferendo la propria residenza fiscale e/o i propri attivi in una giurisdizione a bassa fiscalità. Tali pratiche provocano distorsioni del mercato in quanto erodono la base imponibile dello Stato di partenza e trasferiscono i futuri profitti a fini di tassazione nella giurisdizione di destinazione, a bassa fiscalità.
L’imposizione in uscita serve a prevenire l’erosione della base imponibile nello Stato di origine quando gli attivi che comprendono plusvalenze non realizzate sono trasferiti, senza cambiamenti di proprietà, al di fuori della giurisdizione fiscale di detto Stato.

Clausola di switch-over

Date le difficoltà insite nel concedere un credito d’imposta per imposte versate all’estero, gli Stati tendono sempre più a esentare dalla tassazione i redditi esteri. L’effetto negativo involontario di questo approccio è che può incoraggiare l’ingresso sul mercato interno di redditi non tassati o soggetti a bassa imposizione, che quindi circolano, in molti casi non tassati, all’interno dell’UE sfruttando gli strumenti disponibili nell’ambito del diritto dell’Unione.
Le clausole di switch-over sono comunemente utilizzate per contrastare tali pratiche.
Il contribuente è infatti assoggettato a imposizione (anziché essere esentato) e riceve un credito per le imposte versate all’estero.

Norma generale antiabuso

Gli schemi di pianificazione fiscale sono estremamente elaborati e la legislazione fiscale in genere non evolve abbastanza rapidamente da includere tutte le specifiche difese necessarie per farvi fronte. Per questo motivo una norma generale antiabuso è utile in un sistema fiscale: essa consente di contrastare le pratiche fiscali abusive nonostante l’assenza di una norma antielusione specifica.
La norma generale antiabuso è volta a colmare le lacune che possono esistere nelle specifiche norme antiabuso contro l’elusione fiscale vigenti in un paese.

Norme sulle società controllate estere CFC

I contribuenti con società controllate in giurisdizioni a bassa fiscalità possono attuare pratiche di pianificazione fiscale in virtù delle quali trasferiscono ingenti quantità di utili dalla società madre (soggetta ad elevata fiscalità) verso le controllate, che sono soggette ad una tassazione ridotta. Ne consegue una diminuzione dell’onere fiscale complessivo del gruppo.
L’analisi sulla soglia di imposizione ridotta è valida anche per le norme sulle società controllate estere.
I redditi trasferiti alla controllata sono di solito redditi passivi mobili.
Un sistema comune consisterebbe ad esempio nel trasferire inizialmente, all’interno di un gruppo, la proprietà di attivi immateriali (ad esempio, proprietà intellettuale) alla società controllata estera e successivamente nel trasferire ingenti quantità di redditi in forma di pagamenti di canoni quali corrispettivo del diritto di utilizzare gli attivi posseduti e gestiti dalla società controllata estera.

Quadro per contrastare i disallineamenti da ibridi

I disallineamenti da ibridi sono la conseguenza delle differenze nella qualificazione giuridica dei pagamenti (strumenti finanziari) o delle entità quando due sistemi giuridici interagiscono. Tali disallineamenti possono spesso portare a doppie deduzioni (ossia una deduzione su entrambi i lati della frontiera) o a una deduzione del reddito da un lato della frontiera senza che sia dichiarato sull’altro lato.
I contribuenti, in particolare quelli che si avvalgono di strutture transfrontaliere, si avvantaggiano spesso di tali disparità tra i sistemi fiscali nazionali per ridurre il loro debito d’imposta complessivo nell’Unione.
Tale problema è stato esaminato dal gruppo “Codice di condotta (tassazione delle imprese)” e dall’OCSE.
Al fine di garantire che gli Stati membri introducano norme per contrastare efficacemente tali disallineamenti, la direttiva prescrive che la qualificazione giuridica attribuita a uno strumento ibrido o a un’entità ibrida dallo Stato membro da cui ha origine un pagamento, sia esso una spesa o una perdita, deve essere seguita dall’altro Stato membro interessato dal disallineamento.

Redazione IPSOA – 22 giugno 2016