Per un imprenditore che decide di intraprendere un progetto di internazionalizzazione (commerciale e/o produttiva), le prime domande a cui egli stesso è chiamato a rispondere sono due: verso quali Paesi indirizzare l’offerta di beni e/o servizi ? E come scegliere il o i mercati più profittevoli? Di questo tema si parlerà nell’ambito del Convegno Nazionale UNGDCEC “Internazionalizzazione ed Innovazione: le leve di successo nell’attuale scenario globale per Professionisti ed Imprese”, nel corso del Workshop organizzato da Wolters Kluwer, dedicato alla “Selezione e scelta dei mercati obiettivo”, che si terrà il 7 ottobre 2016 dalle ore 11.30 alle ore 12.30.
Affinché un buon progetto di internazionalizzazione possa diventare un business di successo, vi è la necessità di scegliere in modo accurato il paese di interesse, anche definito come il mercato obiettivo (target in gergo militare).
Tuttavia occorre da subito fare una precisazione: il concetto economico di mercato non coincide sempre con quello geografico o di nazione. Il mercato può essere dato da una città, da una regione, da una porzione di Stato, da un intero Stato, da un insieme di Stati che costituiscono un’intera area regionale (per esempio l’Asean).
Come scegliere il mercato obiettivo?
Il mercato di interesse può essere omogeneo o presentare delle diversità e delle caratteristiche in relazione alla clientela, ai concorrenti, ai canali distributivi, alla normativa o agli standard tecnici.
La distanza è dai più considerata un fattore cruciale ed in effetti per alcuni beni e per alcuni settori effettivamente lo rappresenta (i costi di trasporto ad esempio potrebbero rendere il prodotto poco competitivo oltre un certo raggio d’azione).
Molto spesso erroneamente si preferisce rimanere entro determinati confini credendo che minore è la distanza geografica, minore sarà la differenza culturale ed il rischio sottostante. Effettivamente ci sono mercati e paesi che presentano condizioni economiche, sociali e culturali decisamente diverse dal nostro contesto domestico ma che comunque non possono essere eliminati o scartati a priori e per di più con un atteggiamento semplicistico e superficiale.
Agire senza aver raccolto opportunamente tutte le informazioni e condotto un’analisi puntuale di tutte le variabili presenti in un paese rischia di essere controproducente quanto meno nel medio lungo periodo e di lasciare quote di mercato scoperte a vantaggio di altri competitors.
Possono inoltre esserci paesi molto lontani geograficamente ma con una cultura molto simile alla nostra, che apparentemente si presentano come Good Friends, ma che invece non lo sono affatto e nascondono insidie non facilmente predeterminabili. Tra questi non si può non portare come esempio il Brasile, un paese enorme e geograficamente distante ma che rappresenta anche una delle più grandi “comunità di origine italiana” (sono il 15% della popolazione) al di fuori dell’Italia. Molti comportamenti e gusti del popolo brasiliano sono stati influenzati anche in parte dalla cultura italiana, per cui avviare un business in questo paese risulterà apparentemente (ma non è affatto così) più “semplice” che non con un paese dell’area Maghreb, molto più vicino geograficamente ma non altrettanto culturalmente.
Altro approccio molto pericoloso è quello di seguire i First Movers ossia quelle imprese che per un motivo o per l’altro fanno, correttamente o sbagliando anche loro, da apripista in un mercato. Emulare il comportamento altrui e abbandonarsi alla moda del momento può essere controproducente per l’impresa stessa senza che vengano prese per tempo le opportune informazioni ed adattate al proprio piano strategico ed operativo.
Il percorso di internazionalizzazione non può essere uguale per tutti, vuoi per le diversità aziendali, vuoi per le caratteristiche peculiari di ognuno, è una sorta di abito cucito su misura.
La crisi economica mondiale ha spinto molte imprese ad approcciare i mercati internazionali per trovare nuovi sbocchi alla propria attività. L’approccio alle nuove realtà con cui l’impresa deve interfacciarsi comporta la necessità di dotarsi di nuovi strumenti, che usualmente, non sono considerati sul mercato domestico semplicemente perché non ve ne è bisogno. La frenesia che aumenta quando si investe nei mercati esteri eleva inoltre l’asticella dell’ansia da prestazione e delle performance da ottenere che devono essere suffragate da risultati positivi possibilmente da raggiungere in tempi brevi.
Portare un’impresa all’estero è come avviare una nuova attività pertanto è necessario pianificare tutto con estrema attenzione. Vari sono gli errori in cui l’impresa può incorrere, in caso di mancata programmazione del processo di internazionalizzazione, ad esempio si sbagliano le strategie d’ingresso, si cercano risultati in tempi rapidi o non si hanno le spalle sufficientemente larghe per supportare il carico finanziario e organizzativo che un processo di internazionalizzazione comporta. A volte è un mix di tutto ciò a determinare il fallimento di un’operazione. Ma l’aspetto che non bisogna tralasciare è soprattutto quello culturale: siamo noi i “gringos” che devono adattarsi al contesto locale, non possiamo pensare di imporre cambiamenti e modi di lavorare come se fossimo dei neo-colonialisti.
Quindi, per effettuare un processo di internazionalizzazione che sia profittevole bisogna prendere in considerazione una serie di elementi che possono aiutarci a capire, non solo come entrare in una determinata area, ma anche se e quanto quel mercato si presenta appetibile, e quindi anche più o meno profittevole o rischioso, per il nostro tipo di business.
Come anticipato la scelta del o dei paesi pone l’impresa davanti a scelte geografiche influenzate da tanti fattori e soprattutto dai mutamenti dell’economia mondiale che soprattutto negli ultimi anni si sono fatti più intensi e sempre meno prevedibili (non per ultimo il caso della Brexit).
I paesi emergenti
Il dibattito è stato ancora più acceso nel momento in cui ci si pone davanti alla scelta da compiere tra mercati maturi e quelli emergenti spesso scartando i primi a favore dei secondi.
Nello specifico si considerano emergenti quelle economie che in breve tempo subiscono una trasformazione strutturale del loro contesto produttivo, sociale e demografico. Non ci sono definizioni univoche e per molti economisti ed istituzioni internazionali il parametro di riferimento rimane il prodotto interno lordo del paese o quello pro-capite dei cittadini. Rappresentano quei paesi, definiti anche con l’espressione paesi in via di sviluppo, caratterizzati da reddito pro-capite inferiore alla media mondiale e da tassi medi di crescita superiori rispetto a quelli dei paesi ad alto reddito pro-capite.
Ci sono diversi acronimi che descrivono ed aggregano in modo più o meno compiuto quei paesi considerati in via di sviluppo e con maggiori prospettive di performance. Qui di seguito elenchiamo quelli di maggiore interesse negli ultimi anni:
– BRIC (Brasile, Russia, India e Cina);
– BRICS (a cui si aggiunge il Sudafrica);
– BRICM (con il Messico);
– BRICK (con la Corea del Sud);
– CIVETS (con Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sudafrica);
– CARBS (con Canada, Australia, Russia, Brasile e Sudafrica);
– TICKS (con Taiwan, India, Cina e Corea del Sud);
I NEXT ELEVEN identificano invece alcune delle economie su cui puntare maggiormente nel prossimo futuro ossia: Messico, Nigeria, Egitto, Turchia, Indonesia, Iran, Pakistan, Bangladesh, Vietnam, Corea del Sud, Filippine.
È indubbio, come tutti questi paesi negli anni, siano divenuti sempre più importanti e strategici per l’export delle imprese italiane se si considera che il valore delle nostre esportazioni è passato dagli 8 miliardi di euro registrati nel 1990 a circa 73 miliardi del 2015. Il peso di queste economie, sul totale delle esportazioni italiane, vale oggi circa il 18% ed è triplicato negli ultimi 25 anni.
A far da leva allo sviluppo contribuiscono i consumi interni della nuova ed emergente classe media (nella sola Cina sono 800 milioni gli appartenenti al ceto medio) che nel frattempo ha migliorato le proprie abitudini ed elevato gli stili di vita. A beneficiare della crescita dei redditi nei paesi emergenti potrebbero essere proprio le imprese italiane, che realizzano prodotti di qualità in particolare per la cura della persona, per il suo sostentamento, per l’arredo casa ed altri beni ad alto valore aggiunto.
I paesi maturi
Storicamente, la presenza delle aziende e dei prodotti italiani è maggiormente collegata a paesi maturi per il nostro export come quelli di prossimità appartenenti alla Unione europea ed al Nord America, con gli Stati Uniti in testa.
Ad avviso di chi scrive, la scelta del mercato dove operare deve essere frutto di un bilanciamento dei rischi e delle opportunità tra paesi emergenti e paesi maturi, con l’obiettivo di cogliere nuove opportunità, bilanciare i rischi e non perdere le quote di mercato conquistate in mercati ove si ha già una discreta presenza.
Le insidie sono sempre dietro l’angolo – e occorre tenerlo bene a mente ovunque si scelga di lavorare – ed in qualche modo fanno parte del gioco, tuttavia la riduzione e la protezione del rischio sono passi obbligatori a cui le aziende devono imparare sempre più a fare riferimento.
di Alessio Gambino – 04 ottobre 2016