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Regolarizzazione dello splafonamento in dogana

Per le importazioni effettuate dagli esportatori abituali senza pagamento dell’imposta ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera c), del D.P.R. 633/1972, l’articolo 70, comma 2, dello stesso D.P.R. 633/1972 dispone che, in assenza dei presupposti per avvalersi del plafond o in caso di superamento del plafond medesimo, si applica la sanzione che, prima dell’abrogazione disposta dall’articolo 16 del D.Lgs. 471/1997, consisteva nella pena pecuniaria da due a sei volte l’imposta dovuta, salvo che il fatto non costituisse reato.

A seguito della soppressione di tale fattispecie sanzionatoria, la sanzione amministrativa è quella di cui all’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 471/1997, vale a dire dal 100% al 200% dell’imposta, fermo l’obbligo del pagamento del tributo.

Tale sanzione si applica, pertanto, nei confronti di chi, in mancanza dei presupposti previsti dalla legge (es. status di esportatore abituale), dichiara in dogana l’intenzione di avvalersi della facoltà di importare beni senza pagamento dell’imposta. La stessa sanzione si applica anche a chi si avvale della suddetta facoltà oltre il limite del proprio plafond disponibile, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni e delle prestazioni di cui agli articoli 8, comma 1, lettera a) e b)8-bis e 9 del D.P.R. 633/1972, delle cessioni intracomunitarie e delle operazioni da esse assimilate, registrate per l’anno solare precedente (plafond annuale) o per i dodici mesi precedenti (plafond mensile).

L’importatore che ha commesso le violazioni in esame, oltre alla sanzione, è tenuto anche, in via esclusiva, a norma del secondo periodo del terzo comma dell’articolo 7 del D.Lgs. 471/1997, al pagamento dell’imposta che avrebbe dovuto essere addebitata nei suoi confronti, che l’Agenzia delle Entrate considera però detraibile in presenza dei relativi presupposti, di cui agli articoli 19 e ss. del D.P.R. 633/1972, peraltro anche una volta scaduto il termine di decadenza previsto dall’articolo 19, comma 1, ultimo periodo, dello stesso D.P.R. 633/1972 (circolare AdE 35/E/2013, § 3.3).

Con la circolare 23/E/1999 (§ 3.4), è stato chiarito che la regolarizzazione spontanea delle violazioni in questione, cioè con ravvedimento operosoex articolo 13 del D.Lgs. 472/1997, “riguarda, tra l’altro, tutti i casi di utilizzo del «plafond» oltre i limiti consentiti, comprese le ipotesi in cui il superamento di detto limite sia avvenuto per effetto di un’operazione di importazione”. Tale indicazione è in linea con la circolare 180/E/1998, secondo cui, nell’ambito delle violazioni suscettibili di regolarizzazione mediante ravvedimento operoso, è da ricomprendere l’ipotesi prevista dall’articolo 70, comma 2, del D.P.R. 633/1972, cioè di utilizzo del plafond oltre il limite consentito (o, più in generale, in assenza dei requisiti di legge), per le operazioni di importazione (si veda anche la nota Agenzia delle Dogane n. 102985/2001).

Al pari dell’ipotesi in cui tali violazioni siano accertate dall’Agenzia delle Dogane, la regolarizzazione spontanea mediante ravvedimento operoso dà diritto all’operatore di esercitare la detrazione, sempreché ne ricorrano i relativi presupposti, previsti dagli articoli 19 e ss. del D.P.R. 633/1972 (circolare 54/E/2002, risposta 16.10). È da ritenersi che, in tale evenienza, la detrazione sia ammessa anche una volta scaduto il termine di decadenza, ricorrendo le stesse motivazioni, riconducibili alla tutela del principio di neutralità fiscale, che, nell’ipotesi di accertamento d’ufficio della violazione, hanno indotto l’Agenzia delle Entrate a considerare superato il limite temporale fissato dalla norma.

L’indebito utilizzo del plafond non consente, invece, di beneficiare dell’esimente prevista dall’articolo 20, comma 4, della L. 449/1997, per il caso in cui l’esportatore abituale richiede la revisione dell’accertamento doganale, ex articolo 11, comma 5, del D.Lgs. 374/1990, atteso che la violazione in esame determina la rettifica della dichiarazione doganale e non la revisione dell’accertamento.

Per ciò che riguarda il pagamento dell’Iva dovuta in sede di regolarizzazione, l’articolo 70, comma 2, del D.P.R. 633/1972 stabilisce che “l’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.

Stante il rinvio alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine, dagli articoli 77 e 78 del D.P.R. 43/1973 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), si desume che il pagamento dei diritti doganali, inclusa l’Iva, deve essere eseguito dall’obbligato o dal suo rappresentante presso la ricevitoria della Dogana, immediatamente dopo l’accettazione della dichiarazione doganale, in contanti ovvero mediante vaglia cambiario, assegno circolare o bancario, nonché con assegni bancari emessi da aziende e istituti di credito anche internazionali. In alternativa, l’operatore può pagare i diritti mediante versamento degli importi dovuti in conto corrente postale o bonifico bancario. L’Amministrazione finanziaria, nei confronti di coloro che effettuano con carattere di continuità operazioni doganali, può inoltre consentire il pagamento periodico dei diritti doganali, previa prestazione di idonea cauzione.

Non è, invece, consentito il versamento con modello F24, neppure per la parte dei diritti riferiti all’Iva, atteso che i dazi doganali, a decorrere dalla decisione CECA, CEE, Euratom del Consiglio europeo n. 243/1970 sono divenuti “risorse proprie” dell’Unione europea e costituiscono la principale fonte di finanziamento del bilancio comunitario (si veda ora l’articolo 2, lettera a), della decisione CE/Euratom del Consiglio europeo n. 436/2007). I dazi, inclusa l’Iva, devono essere messi a disposizione dell’Unione nei termini indicati dal Regolamento 1150/2000/CEE e non possono essere oggetto di versamento unitario con compensazione con i tributi nazionali.

 

FONTE : Euroconference

di Marco Peirolo – 26 maggio 2017