Fino al 31 dicembre 2009, l’articolo 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 prevedeva che i soggetti passivi non residenti né stabiliti in Italia, che avessero effettuato operazioni nel territorio dello Stato nei confronti di cessionari o committenti non esercenti attività d’impresa, arte o professione, dovessero assolvere agli obblighi IVA derivanti dalla disciplina nazionale identificandosi direttamente in Italia o tramite la nomina di un rappresentante fiscale.
Nel peculiare caso di cessioni di beni o prestazioni di servizi rese a soggetti passivi, i soggetti non stabiliti potevano scegliere se identificarsi in Italia (direttamente o tramite la nomina di un rappresentante fiscale) o non identificarsi.
Nel caso in cui il soggetto non residente avesse optato per tale ultima possibilità, il terzo comma dell’articolo 17 stabiliva che gli obblighi in materia IVA fossero assolti dal cessionario o committente con il meccanismo del reverse charge. In base a tale disposizione e al secondo comma dell’articolo 44 del D.L. n. 331/1993, il sistema dell’inversione contabile trovava in ogni caso applicazione – cioè anche nell’ipotesi in cui il soggetto non residente fosse identificato ai fini IVA in Italia – per le prestazioni (es. quelle derivanti da contratti di locazione anche finanziaria di beni mobili materiali diversi dai mezzi di trasporto, quelle pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica, quelle di trasporto intracomunitario di beni e le relative intermediazioni, che avessero avuto inizio nel territorio dello Stato) già disciplinate dall’articolo 7, comma 4, lett. d), del D.P.R. n. 633/1972 e dall’articolo 40, commi 4-bis, 5, 6 e 8, del D.L. n. 331/1993 rese da un soggetto non stabilito nel territorio dello Stato nei confronti di un soggetto ivi stabilito. Per tali prestazioni, il debitore dell’imposta era comunque da individuarsi nel committente stabilito in Italia, anche quando il prestatore non residente fosse ivi identificato ai fini IVA.
Dal 1° gennaio 2010, il secondo comma dell’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972 amplia l’ambito applicativo del reverse charge cd. “obbligatorio”, vale a dire delle ipotesi in cui – in deroga ai criteri generali previsti dal primo comma dell’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972 – il debitore dell’imposta non è, come di regola avviene, il cedente o prestatore, bensì il cessionario o committente. Dal 2010, infatti, l’IVA relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia, rese da soggetti non residenti (ad eccezione di quelle rese per il tramite di una stabile organizzazione in Italia), deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, se soggetto passivo stabilito in Italia, mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge, ancorché il cedente o prestatore sia identificato ai fini IVA in Italia tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale.
In merito ai criteri di applicazione dell’inversione contabile, a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 325, lett. b), della L. n. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013), il cessionario o committente deve assolvere l’imposta mediante la procedura di integrazione e di registrazione prevista dagli articoli 46 e 47 del D.L. n. 331/1993 per tutte le operazioni territorialmente rilevanti in Italia, siano esse cessioni di beni o prestazioni di servizi, effettuate da un operatore comunitario nei confronti di un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato. La procedura di autofatturazione resta, pertanto, applicabile per le sole cessioni di beni e prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, poste in essere da un operatore extracomunitario nei confronti di un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato.
Dal 1° gennaio 2013, quindi, il cessionario o committente nazionale deve:
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 89 del 25 agosto 2010, ha chiarito che il reverse charge è obbligatorio anche se l’operatore non residente è identificato ai fini IVA in Italia direttamente o per mezzo del rappresentante fiscale. Nel citato documento di prassi, è stato consentito che, in relazione ad una cessione o prestazione interna, il rappresentante fiscale possa – per proprie esigenze – emettere nei confronti del cessionario o committente residente un documento non rilevante ai fini dell’IVA, con indicazione della circostanza che l’imposta relativa all’operazione verrà assolta dal cliente stesso (per esempio, per superare la presunzione di cessione).
Con la successiva risoluzione n. 21 del 20 febbraio 2015, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il documento emesso con partita IVA italiana dal rappresentante fiscale di un soggetto passivo non residente, per una cessione o prestazione effettuata nei confronti di un soggetto passivo IVA residente in Italia, sia da considerare non rilevante come fattura ai fini IVA e debba essere richiesta al suo posto la fattura emessa direttamente dal cedente o prestatore estero. Secondo l’Agenzia, il cessionario o committente nazionale che non abbia ricevuto la fattura intestata all’operatore non residente entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione deve applicare la procedura di regolarizzazione prevista dall’articolo 46, comma 5, del D.L. n. 331/1993, emettendo autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, da annotare nel registro delle fatture emesse entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (articolo 47, comma 1, del DL n. 331/1993).
Fonte Euroconference
di Marco Peirolo – 05 dicembre 2016