L’istituto del plafond rappresenta una deroga rispetto all’ordinario sistema dell’Iva, rispondendo all’esigenza di evitare che determinate categorie di operatori economici, che effettuano un notevole volume di cessioni all’esportazione, si trovino gravati da un consistente credito d’imposta nei confronti dell’Erario.
Il plafond, di cui all’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, individua il limite quantitativo entro il quale l’esportatore abituale può esercitare la facoltà di acquistare ed importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta (ad eccezione di fabbricati, aree edificabili e beni e servizi per i quali l’Iva è indetraibile). L’ammontare del plafond è determinato dalle cessioni all’esportazione o dalle altre operazioni non imponibili ad esse assimilate registrate nell’anno solare o nei dodici mesi precedenti.
Sul piano funzionale il meccanismo del plafond elimina, pertanto, lo svantaggio economico derivante dal credito Iva maturato dall’esportatore che fisiologicamente non è possibile ottenere a rimborso in tempi sufficientemente brevi, con conseguente penalizzazione, sotto il profilo finanziario, dello stesso soggetto e, più in generale, delle operazioni di esportazione.
Qualora la dichiarazione d’intento sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo risponde esclusivamente il cessionario o committente, al quale è applicabile la sanzione di cui all’articolo 7, comma 3, D.Lgs. 471/1997 (dal 100 al 200% dell’imposta), fermo restando l’obbligo del pagamento del tributo.
Si ricorda che la stessa sanzione proporzionale è applicabile nell’ipotesi della mancanza della dichiarazione d’intento, ma ad essere punito in tal caso è il cedente o prestatore che abbia effettuato operazioni in regime di non imponibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lett. c), D.P.R. 633/1972 senza dichiarazione.
L’articolo 7, comma 4-bis, D.Lgs. 471/1997 prevede, inoltre, l’irrogazione al cedente o prestatore della sanzione fissa (da euro 250 a euro 2.000) se ha applicato la non imponibilità prima di avere ricevuto dall’esportatore abituale la dichiarazione d’intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle Entrate.
Con la sentenza n. 15835 del 15.06.2018, la Corte di Cassazione ha respinto la tesi dei giudici d’appello, in base alla quale la sanzione proporzionale prevista in caso di dichiarazione d’intento rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge è da ritenersi non applicabile se l’indebito utilizzo del plafond – non doloso, ma causato da un mero errore di calcolo non finalizzato ad evadere o eludere il prelievo – non ha arrecato alcun danno erariale avendo l’esportatore abituale il diritto ad esercitare la detrazione dell’imposta che avrebbe dovuto essere applicata in fattura dal proprio fornitore.
L’impostazione della difesa erariale trova fondamento essenzialmente nell’articolo 19, comma 3, lett. a), D.P.R. 633/1972, che considera detraibile l’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni di beni e servizi utilizzati per compiere operazioni non imponibili, quali quelle che concorrono a formare il plafond.
La Suprema Corte, nel confermare la pretesa dell’Ufficio, ha rilevato che, nel caso in esame, non si è negata affatto l’esistenza del diritto di detrazione, escludendo soltanto l’operatività del limite all’esecutività del debito Iva, correlato alla qualità di esportatore abituale.
Conseguentemente, al fine di giustificare l’inapplicabilità della sanzione, non è pertinente il richiamo all’orientamento della giurisprudenziale unionale in base al quale il principio di neutralità dell’Iva esige che la sua detraibilità a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi dal soggetto passivo (causa C-183/14, Salomie e Oltean).
Ad avviso dei giudici di legittimità, tale posizione si riferisce alla diversa ipotesi in cui, nonostante la sussistenza dei presupposti sostanziali del diritto di detrazione, l’Amministrazione finanziaria neghi la detrazione per mancanza di alcuni presupposti formali (nella specie, la dichiarazione d’intento presentata in assenza dei requisiti previsti per gli esportatori abituali).
In assenza, pertanto, dello status di esportatore abituale dell’operatore, viene meno anche il limite di esecutività del debito Iva, proprio per non arrecare danno all’Erario, entrando “in gioco” la previsione del citato terzo comma dell’articolo 7 D.Lgs. 471/1997, nella parte in cui stabilisce che, qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti di legge, dell’omesso pagamento del tributo risponde esclusivamente il cessionario o committente, al quale è applicabile la sanzione proporzionale (dal 100 al 200% dell’imposta), oltre all’obbligo del pagamento del tributo.
Il suddetto trattamento sanzionatorio non è influenzato neppure dallo stato soggettivo del cessionario o committente, siccome l’operatività della sospensione d’imposta collegata alla qualifica di esportatore abituale dipende dall’esistenza del plafond, indipendentemente dalla buona fede del cessionario o committente.
Del pari, sottolineano i giudici, è irrilevante anche il richiamo alla giurisprudenza unionale che vieta l’applicazione di sanzioni pecuniarie sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione, in particolar modo qualora quest’ultima si riferisca ad un obbligo formale (causa C-183/14, cit.).
Così esposte le motivazioni alla base della pronuncia della Suprema Corte, è da ritenere, invece, che la sanzione irrogata all’operatore non sia proporzionata alla gravità dell’infrazione, almeno nelle situazioni in cui vi sia assenza di danno erariale.
Verosimilmente, nell’ottica del legislatore (e del Fisco), il principio unionale della proporzionalità è da intendere rispettato avendo riguardo non già alla fase di acquisto/importazione da parte dell’operatore, ma alla fase successiva della cessione. Il timore, in altri termini, è che il bene acquistato senza Iva in assenza dei presupposti sia poi rivenduto “in nero”.
Visto che la riforma del sistema sanzionatorio non ha attenuato la gravità della sanzione, sarebbe pertanto opportuno che sul piano interpretativo fosse quanto meno riconosciuta un’esimente all’operatore in grado di dimostrare che, a valle, non ha né evaso l’imposta, né partecipato ad una frode “a carosello”.
Fonte: Euroconference
di Marco Peirolo – 04 luglio 2018