Una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (n. 7198 del 14 settembre 2015) ha messo in evidenza alcuni aspetti di comune interesse e di significativa rilevanza nell’ambito delle verifiche che interessano le operazioni effettuate fra imprese appartenenti a gruppi multinazionali e quindi oggetto di possibili verifiche dell’Amministrazione in materia di transfer pricing.
In modo particolare, il primo punto evidenziato riguarda la necessità che, ogni qualvolta la verifica sul transfer pricing sia compiuta mediante l’applicazione di metodi transazionali reddituali (si pensi al metodo del cd. TNMM diffusamente applicato), la selezione dei comparabili debba essere compiuta con estrema attenzione e precisione avuto riguardo alla ricerca di un grado il più possibile elevato di affinità rispetto alla impresa ed alla transazione da testare.
La ricostruzione induttiva della profittabilità “normale” non deve quindi avvenire sulla base di meri elementi indiziari aventi una connotazione esclusivamente statistica ma assai poco aderente alla fattispecie concreta.
Nel caso specifico, quindi, un primo elemento di debolezza della ricostruzione reddituale operata dai verificatori, che ha portato i Giudici milanesi ad annullare la pretesa tributaria, era infatti rappresentato da una erronea costruzione del paniere di imprese comparabili le quali risultavano essere diverse per attività e funzioni esercitate rispetto all’impresa oggetto di verifica. Di conseguenza, la ricostruzione siffatta risultava priva di sostegno probatorio in quanto gli elementi posti alla base della sua elaborazione erano inadeguati rispetto alla fattispecie concreta.
Un secondo elemento di rilievo, assai comune soprattutto nelle verifiche che hanno oggetto gli anni recenti caratterizzati spesso da periodi continuativi di grave riduzione di volumi e di margini, attiene proprio alla necessità di tenere conto della crisi che ha colpito, in quel particolare periodo, il settore di appartenenza dell’impresa. I Giudici milanesi stigmatizzano infatti l’approccio tenuto dai verificatori laddove questi sembrano non aver “minimamente tenuto conto della crisi ha particolarmente colpito in modo grave il settore”.
Riguardo al fattore crisi e più in generale alla necessità di tenere conto delle concrete performance delle imprese comparabili, si rammenta che già la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (sentenza n. 1670/2015) aveva evidenziato l’erroneità di un approccio che, nel selezionare i comparabili ai fini della applicazione del metodo reddituale prescelto, escluda tout court le imprese in perdita in quanto investite dalla particolare fase contingente di crisi di mercato. La perdita, come l’utile, è infatti un risultato gestionale, osservano i Giudici della CTR lombarda, e come tale va preso in considerazione in quanto rappresenta la fotografia reale dell’andamento del mercato di appartenenza dell’impresa; infatti, escludere le società in perdita dalla composizione dei comparables, significherebbe “non esaminare con la dovuta attenzione il caso sottoposto a giudizio”.
Infine, sempre con riguardo al tema in oggetto, non può dimenticarsi che un approccio obiettivo all’analisi di transfer pricing dovrebbe riguardare l’intero rapporto intercompany del periodo in osservazione, e non limitarsi ad indagare e contestare una partizione dello stesso, quando non sia naturalmente dimostrato che proprio questa parte del rapporto è patologicamente congeniata per eludere le imposte nello Stato.
Di Fabio Landuzzi – 20 gennaio 2016
Fonte: Euroconference