Ancora aperto il confronto tra autorità fiscali ed operatori sul tema cardine del riflesso doganale dei TP adjustments. La difficile convivenza tra transfer pricing e valore doganale delle merci è un tema che ormai da anni occupa la comunità internazionale, con l’obiettivo di trovare una riconciliazione tra due discipline che muovono da approcci divergenti.
Uno degli aspetti maggiormente dibattuti concerne l’impatto sulla valorizzazione doganale delle merci di eventuali aggiustamenti dei prezzi di trasferimento operati retroattivamente, durante l’anno o a fine anno. Infatti, succede spesso che le aziende “aggiustino” retroattivamente i prezzi utilizzati nelle transazioni infragruppo poste precedentemente in essere, al fine di ottenere risultati finanziari in linea con gli standard arm’s length (cd. “outcome-checking”, o anche “profit-checking”).
Tali procedure appaiono del tutto fisiologiche nell’applicazione di alcuni metodi di transfer pricing, cd. metodi reddituali, quali il metodo TNMM ed il metodo del Profit Splitting; è bene sottolineare che, ad oggi, tali metodi reddituali risultino i metodi maggiormente utilizzati nella prassi nazionale ed internazionale. Ad esempio, nell’ambito del metodo TNMM, i transfer pricing adjustments sono corrisposti (generalmente, a fine anno, in maniera aggregata) per allineare un determinato indicatore di redditività della cd. “tested party” con quello conseguito dai soggetti comparabili identificati.
Di contro, ai fini doganali, è il momento dell’importazione delle merci quello in cui si considera generalmente completata l’analisi del valore in dogana delle stesse. Appaiono pertanto evidenti le problematiche che possono sorgere: innanzitutto, sulla stessa validazione del valore di transazione quale valore doganale delle merci; poi, circa la necessità di una revisione del valore dichiarato per le merci al momento dell’importazione; infine, circa le metodologie da seguire per l’allocazione degli aggiustamenti, aggregati, transazione per transazione e prodotto per prodotto, così da determinarne il relativo impatto daziario.
È superfluo ricordare come, in assenza di direttive e linee-guida condivise, nella pratica internazionale le amministrazione doganali tendano a richiedere il pagamento di maggiori dazi (e relative sanzioni) nel caso in cui gli aggiustamenti di prezzo determinino un aumento del prezzo finale pagato all’importatore per le merci, ed a negare il rimborso dei dazi pagati in eccesso nel caso di aggiustamenti a decremento del prezzo.
Di tale problematica si è occupata recentemente la Corte di Cassazione, che ha negato il rimborso di dazi pagati in eccesso a un contribuente che aveva provveduto a rettificare (in diminuzione) il valore doganale delle merci importate in forza della politica di transfer pricing adottata (successivamente) dal gruppo (sentenza Cass. n. 7716 del 2013).
La Camera di Commercio Internazionale (ICC) ha da tempo sollevato la problematica in questione; tra le iniziative più recenti, vale segnalare il recente ICC Policy Statement (febbraio 2015) sul rapporto tra transfer pricing e valore in dogana delle merci.
L’intervento dell’ICC rappresenta non solo una formale “presa di coscienza” dell’attualità del tema ma, soprattutto, un contributo pragmatico a un dibattito che si protrae già da alcuni anni. In particolare, l’ICC ha enfatizzato la necessità di apprezzare le convergenze esistenti tra i due sistemi di regole, a beneficio delle esigenze di certezza delle imprese multinazionali, ed ha avanzato alcune proposte concrete alle problematiche maggiormente ricorrenti derivanti dall’interrelazione tra tali sistemi, così da poter giungere ad un comune modo di interpretare il principio dell’arm’s length.
In estrema sintesi, l’ICC propone che:
– gli aggiustamenti di prezzo retroattivi, per qualunque ragione effettuati ai fini fiscali, siano da ritenersi valevoli anche ai fini doganali;
– è raccomandata la “gestione doganale” di tali aggiustamenti tramite l’adozione di criteri forfetari – ad esempio, mediante l’utilizzo della aliquota daziaria media ponderata – per evitare eccessivi oneri documentali e procedurali ai contribuenti ed allo stesso tempo assicurare la tutela delle pretese erariali;
– a seguito di tali aggiustamenti, le società importatrici non debbano essere obbligate a procedere alla cd. “revisione dell’accertamento” per ciascuna singola dichiarazione doganale, potendo provvedere alla predisposizione di una nota riepilogativa “aggregata”, né siano soggette a sanzioni di carattere amministrativo in caso di maggiori dazi dovuti.
Nell’ultimo recente periodo, il tema delle modalità di riconciliazione dei valori rilevanti ai fini del TP e delle dogane ha molto impegnato le autorità fiscali e gli esperti della materia, arrivando fino all’adozione da parte dell’Amministrazione (Agenzia Entrate e Agenzia Dogane) di alcuni approcci condivisi, utili per la gestione doganale dei prezzi di trasferimento e dei relativi aggiustamenti operati retroattivamente.
Il tema sarà oggetto dell’evento del 14 maggio 2015, dove le Autorità e i professionisti si confronteranno sulle scelte adottate in Italia per affrontare il tema che, si badi, ha effetti dirompenti per le imprese interessate, visto che in concreto interessa tutte le aziende multinazionali, in relazione ad ogni singola importazione o esportazione effettuata.
La variazione di prezzo può essere gestita secondo varie modalità, utilizzando vari strumenti offerti dalla disciplina doganale, visto che è il valore di TP a dover fare ingresso nel “sistema dogane”.
Si ritiene utile fare ricorso a sistemi di accordo e ruling preventivo alle autorità doganali, concordando in un’ottica di partenariato l’accettabilità del valore e la sua gestione e modulazione, anche a posteriori (cfr. art. 6 e ss. CDC).
A posteriori, è poi possibile ricorrere alla procedura di revisione dell’accertamento di cui all’art. 78 CDC, per rettificare – si auspica cumulativamente – le revisioni con i nuovi valori, in più o in meno, derivanti dagli adjustments.
Ancora, è teoricamente possibile ricorrere anche alla c.d. dichiarazione incompletaex art. 254 e ss. Reg. 2454.93 (DAC), a mente della quale gli operatori potrebbero omettere le indicazioni di valori all’importazione, differendone la dichiarazione ad un periodo successivo, concordato con la Dogana.
Infine, è percorribile, per certi versi, la procedura di forfetizzazione dei valori di cui all’art. 156-bis delle DAC, anche questa preventivamente concordata con le autorità.
I sistemi, insomma, sono molti e gli strumenti per gli operatori economici sono validi ed efficaci, anche se la novità del tema impone che tutte le parti in causa aderiscano ad un terreno di confronto condiviso e predeterminato.