Scenari globali e internazionalizzazione in Oriente: la prospettiva del Franchising
24 Aprile 2015
Imprese estere: interpello preventivo a tutela dell’investimento
30 Aprile 2015
Show all

Vantaggi e pericoli delle escalation clauses nell’arbitrato internazionale

Una prassi abbastanza diffusa nella contrattualistica internazionale è quella di prevedere che le parti del contratto debbano ricercare un accordo amichevole o procedere ad una conciliazione o mediazione prima di instaurare un giudizio ordinario o arbitrale.

Queste clausole, che introducono una serie di passaggi preliminari (escalation clauses) rispondono ad un esigenza molto sentita da parte degli esportatori che desiderano  -ovviamente – evitare procedure giudiziarie o arbitrali lunghe e costose.
Va però detto che la finalità, più che lodevole, perseguita dalle parti viene spesso tradita da clausole inadeguate che producono più danni che vantaggi.
La presente nota intende appunto esaminare più da vicino questa problematica, con riferimento al caso di scelta dell’arbitrato come mezzo di risoluzione delle controversie, cercando di mettere in luce alcuni aspetti critici e proponendo soluzioni adeguate per evitarli.

Eventuali passaggi preliminari all’instaurazione di una procedura arbitrale

Nel redigere un contratto che preveda una clausola arbitrale per la risoluzione di future controversie, le parti possono prevedere dei passaggi preliminari, come in particolare:

  • un negoziato per una soluzione amichevole della controversia, se del caso attraverso il ricorso ad un livello superiore di management;
  • una procedura di conciliazione/mediazione affidata ad un terzo.

Vediamo separatamente queste due ipotesi.

Previsione dell’obbligo di cercare una soluzione amichevole

Questa soluzione, molto apprezzata dagli operatori, è in realtà di scarsa utilità e può creare problemi non indifferenti.
Anzitutto, va considerato che dei contraenti responsabili valuteranno attentamente la possibilità di una soluzione transattiva della controversia insorta tra di loro, senza bisogno di una clausola contrattuale che preveda un obbligo in tal senso.
Inoltre, una clausola che preveda un espresso obbligo di procedere ad un negoziato preventivo, rischia di diventare un ostacolo alla risoluzione della controversia piuttosto che uno strumento per evitarla.
Infatti, quando una delle parti (o ambedue) non intende negoziare seriamente, la clausola in questione rischia di rimanere senza effetto e potrà anzi costituire uno strumento per impedire o ritardare il ricorso all’arbitrato o per contestare in seguito il lodo arbitrale. Anche ove si riesca a dimostrare che la negoziazione preventiva è stata resa impossibile dalla parte recalcitrante, resta il fatto che si rischia di complicare la procedura arbitrale inserendo nella stessa una questione preliminare in grado di incidere sulla durata e sui costi della stessa.

Forme più sofisticate di negoziazione preventiva

Se è vero che in circostanze normali non serve prevedere un obbligo di negoziazione preventiva, vi sono situazioni in cui, spostando la negoziazione della controversia ad un livello diverso della struttura societaria, si possono creare degli spazi per un accordo che non sarebbe realizzabile tra i diretti interessati. In particolare, non è infrequente il caso in cui la controversia con la controparte è frutto di contrasti personali tra i soggetti interessati che non consentono una valutazione equilibrata della posta in gioco. In queste circostanze soggetti meno coinvolti nella vicenda potranno avere maggiori possibilità di individuare soluzioni transattive in grado di evitare di portare la controversia davanti agli arbitri o all’autorità giudiziaria.
Per questa ragione si prevede talvolta, nei contratti cui partecipano società più strutturate, che la controversia debba essere portata ad un livello superiore di management (servizi centrali, capogruppo) prima di iniziare una procedura giudiziaria o arbitrale.

Conciliazione/mediazione ad opera di un terzo

Molto più interessante della soluzione precedente appare l’opzione di ricorrere a forme diconciliazione/mediazione prima della procedura arbitrale. In particolare, le forme più evolute di ADR (Alternative Dispute Resolution), come in particolare la mediazione, costituiscono degli strumenti molto validi che permettono di giungere, con l’aiuto del terzo, ad una risoluzione amichevole della controversia.
La forma più diffusa di ADR è costituita dalla mediazione o conciliazione, rivitalizzata attraverso l’approfondimento e la messa a punto di particolari tecniche, volte a facilitare il raggiungimento di una soluzione transattiva. Il mediatore non è chiamato a decidere chi ha ragione e chi ha torto, ma piuttosto aricercare insieme alle parti soluzioni, che permettano di comporre la controversia. Una caratteristica della moderna mediation è la piena libertà delle parti di poter rifiutare le proposte del mediatore senza subirne alcuno svantaggio nell’eventuale successiva procedura (arbitrale o giudiziaria); infatti, la totale volontarietà della procedura facilita la formazione di un clima di fiducia ed apertura tra ciascuna parte ed il mediatore.

Normalmente il mediatore alterna riunioni congiunte con incontri separati con ciascuna parte, attraverso i quali cerca di capire le rispettive esigenze ed avvicinare le loro posizioni; in tale contesto, poi, si può ricorrere a tecniche differenti: così si distingue tra una

  • facilitative mediation in cui il mediatore si limita essenzialmente a facilitare la comunicazione tra le parti, aiutandole a trovare una soluzione di comune interesse
  • ed una evaluative mediation, in cui il mediatore esprime un giudizio sulle possibili alternative e tende quindi a guidare più attivamente le parti verso una specifica soluzione.

La mediazione differisce in modo sostanziale dall’arbitrato. Il mediatore assiste le parti nella ricerca di una soluzione amichevole della controversia, ma non ha il potere di decidere alcunché: le sue proposte, sempre che ne faccia (si noti che nel contesto della mediazione «facilitativa», che costituisce attualmente il metodo utilizzato più frequentemente, il mediatore non formula alcuna proposta, limitandosi a fornire suggerimenti che andranno poi sviluppati autonomamente dalle parti), non sono vincolanti e le parti rimangono sempre libere di non raggiungere un accordo. Al contrario, l’arbitro, ha il compito specifico dirisolvere il caso attraverso una decisione che vincola le parti.

La scelta di un mediatore competente

La mediazione, per essere efficace, dev’essere condotta da un professionista esperto, in grado di aiutare le parti a superare i motivi di conflitto, portandole ad individuare delle soluzioni accettabili per entrambe.
Dal momento che non sarà di regola possibile individuare il mediatore già al momento della stipulazione del contratto, sarà necessario rivolgersi ad un’istituzione specializzata che possa nominare un mediatore competente, in grado di fornire un aiuto concreto. Trovare un professionista che sappia gestire con successo una procedura internazionale di mediazione può non essere facile, dovendosi trattare di una persona che, oltre a conoscere le tecniche di mediazione, abbia la capacità di gestire i rapporti tra parti di diversi paesi, superando eventuali problemi legati a differenze di lingua e di cultura.

La Camera di Commercio Internazionale (CCI) ha predisposto un regolamento di mediazione, entrato in vigore il 1° gennaio 2014. Con tale regolamento è stato istituito un Centro internazionale di mediazione della CCI che amministra i procedimenti di mediazione della CCI e che nomina il mediatore (salvo che le parti non concordino un nome, che dovrà comunque essere confermato dal Centro).

La redazione della clausola di mediazione

Nella redazione di una clausola di mediazione si scontrano due opposte esigenze.

  • Da un lato si desidera spingere le parti a considerare seriamente il ricorso alla mediazione, attraverso la previsione di un vero e proprio obbligo ad instaurare la procedura e a partecipare alla stessa.
  • Dall’altro, però, è necessario evitare che la previsione di una forma obbligatoria di mediazione possa favorire misure dilatorie, ostacolando il passaggio alla successiva procedura arbitrale. In particolare, occorre evitare che una parte possa “sabotare” la procedura di mediazione (non partecipando o prolungandone la durata) per poi impedire l’arbitrato adducendo la mancata effettuazione della mediazione.

Un primo approccio, estremamente prudente, può essere quello di limitarsi a prevedere la possibilità di un ricorso alla mediazione, senza alcun obbligo per le parti, come la seguente clausola opzionale raccomandata dalla CCI:

Le parti possono in qualsiasi momento, senza pregiudizio per ogni altro procedimento, tentare di risolvere tutte le controversie derivanti dal presente contratto o in relazione con lo stesso in conformità al Regolamento di mediazione della CCI.”

Questa clausola, come quella leggermente più “forte” che obbliga le parti a discutere l’opportunità di ricorrere ad una procedura di mediazione, non fa sorgere alcun obbligo, ma può avere un qualche peso, più che altro “psicologico”, per invogliare le parti a considerare questa via.

All’altro estremo, troviamo la soluzione consistente nel prevedere in via obbligatoria la procedura di mediazione prima di iniziare l’arbitrato. Così, la clausola opzionale D raccomandata dalla CCI, prevede quanto segue:

Nel caso di controversie derivanti dal presente contratto o in relazione con lo stesso, le parti sottoporranno la controversia a un procedimento secondo il Regolamento di mediazione della CCI. Nel caso in cui la controversia non sia risolta in base a tale Regolamento entro [45] giorni dalla presentazione di una domanda di mediazione o entro il diverso periodo di tempo che le parti possono concordare per iscritto, tale controversia sarà risolta mediante arbitrato secondo il Regolamento di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale da uno o più arbitri nominati in conformità a tale Regolamento di arbitrato.”

Questa clausola prevede un vero e proprio obbligo di partecipare alla procedura di mediazione, ma evitaal tempo stesso il pericolo che ciò possa incidere negativamente sulla possibilità di iniziare la procedura arbitrale. Infatti, decorsi i 45 giorni (o altro termine concordato tra le parti) dall’inizio della procedura di mediazione (che può essere instaurata da una delle parti soltanto) si può attivare la procedura arbitrale, senza che la mancata conclusione della mediazione possa avere qualsiasi rilevanza.

Si potrebbe obiettare che questa soluzione non è abbastanza efficace in quanto lascia la parte “recalcitrante” libera di non partecipare (seppure violando un obbligo contrattuale) o, partecipandovi, di ostacolarne il funzionamento.
Va però considerato che, trattandosi di una procedura che richiede l’accordo delle parti in tutte le sue fasi, non avrebbe senso richiedere alla parte che non desidera la mediazione di andare oltre la disponibilità di presenziarvi. Sarà poi semmai il compito del mediatore convincere ambedue le parti ad aprirsi ed a considerare seriamente la possibilità di un accordo. Se però la mediazione non funziona, qualunque ne sia la ragione, deve essere possibile iniziare senza indugi la procedura arbitrale e ciò viene appunto garantito dalla clausola in questione.

Avv. Fabio Bortolotti